L’Homo Oeconomicus rappresenta per la finanza classica l’investitore ideale: perfetta razionalità, assenza di asimmetria informativa ed esclusiva cura dei propri interessi personali sono le relative caratteristiche distinte. Al contrario, la finanza comportamentale mette in evidenza come gli individui pensino attraverso diverse forme di razionalità, contemplando così l’esistenza dell’irrazionalità totale. Dalla sommatoria di comportamenti individuali di acquisto o vendita è possibile costruire una serie storica sull’andamento di un singolo titolo o, più in generale, di un Indice di Borsa. Diviene dunque una sfida psicologica quella di voler spiegare perché l’aggregazione di comportamenti individuali produca dei risultati che sembrano sfuggire dalla razionalità economica.
Il termine “Irrational Exuberant” fu introdotto nel dizionario economico da Alan Greenspan il 5 dicembre del 1996: l’allora presidente della Federal Reserve usò l’espressione per descrivere il comportamento irrazionale degli investitori sui mercati. L’intervento di Greenspan causò una reazione rilevante e pose, sui principali notiziari economico-finanziari, la reale preoccupazione che i mercati fossero spinti in alto, a livelli insostenibili, dalla forza dell’irrazionalità, legata ad una vera e propria psicologia del mercato. In Giappone il Nikkei crollò del 3,2%, a Hong Kong l’Hang Seng scese del 2,9% e in Germania il Dax perse il 4%. La stessa discesa fu registrata a Londra con l’indice FT-SE 100 e negli Stati Uniti il Dow Jones segna un valore di -2,3% in apertura. Il mercato azionario americano, nel periodo a ridosso del nuovo secolo, aveva avuto un aumento senza precedenti: il Dow Jones Industrial Average era passato da un valore di 3600 nel 1994 ad un valore di 11.000 nel 1999. Questi risultati suscitarono nel pubblico l’aspettativa di prezzi alti, che potevano essere mantenuti nell’immediato futuro. Dall’altro lato però, gli indicatori economici di base non avevano avuto questa crescita: il PIL pro capite era cresciuto del 30% circa e ciò era dovuto principalmente all’inflazione. Osservando il PIL, inteso come variazione del totale delle merci, quest’ultimo può variare sia in relazione alle quantità che ai prezzi. In questo modo si delinea un forte influenza dell’aumento dei prezzi nei confronti del principale indicatore di benessere di un paese. Gli utili aziendali erano cresciuti “solo” del 60% (Market Volatility, Shiller). L’aumento reale medio dei prezzi delle abitazioni in 10 città degli Stati Uniti era pari al 9% (Case Shiller Weiss). Occorre indagare se tali dinamiche del mercato azionario fossero legate all’esistenza di una bolla speculativa positiva ovvero “un comportamento insostenibile dei prezzi provocato dal comportamento degli investitori e non da informazioni autentiche sui valori fondamentali”. (Shiller, 2000)
Figura 1 – prezzo e utili gennaio 1870 – 2014 S&P composite

Come si può osservare dal grafico 1 il rapporto prezzo/utili del decennio 1990-2000 presenta una crescita costante, conclusasi bruscamente con lo scoppio della “Dot-com Bubble”. Comunemente tale rapporto viene usato per osservare quanto sia caro il mercato azionario. Il prezzo, posto al numeratore, è quello pagato per acquisire i diritti (amministrativi e patrimoniali) legati al possesso di tale strumento di investimento. L’utile per azione (EPS, earnings per share) rappresenta l’utile generato dalla gestione per la singola azione. Rapportando queste due variabile è possibile ottenere il P/E che interpretato può rappresentare il numero di anni, in termini di utili, necessario per ripagare il prezzo pagato. Più è elevato tale rapporto, più è “caro” e spinto al rialzo il mercato azionario. La difficoltà nel giustificare i prezzi con l’uso di variabili economiche fondamentali, come analizzato precedentemente, permette di configurare una struttura che sembra sfuggire dalla razionalità.
Per comprendere cosa sorregge una struttura irrazionale diviene necessario concentrarsi su quei fattori che hanno un effetto sul mercato. Nella bolla delle Dot-com, analizzata da Shiller, un primo fattore può essere ricercato nelle informazioni a disposizione degli investitori e sulla loro esposizione sempre più crescente alle notizie relative al mondo degli affari. In ambito finanziario nel 1983 venne avviato il progetto per creare la prima rete specializzata: la Financial News Network, più tardi assorbita dalla CNBC. In seguito si presentarono sul mercato televisivo altri player quali CNNfn e Bloomberg Television. Queste reti informative avevano al centro della loro value proposition la produzione di un flusso continuo di notizie finanziarie, di cui il mercato azionario occupava lo spazio principale. L’intensificazione delle notizie finanziarie creò un aumento della domanda degli strumenti finanziari. Così come avviene con la pubblicità relativa ai beni di consumo, le persone hanno più familiarità con il prodotto, si ricordano dell’esistenza dello stesso e vengono indotte ad entrare nel mercato. I media sono attratti dal mercato azionario, perché nulla sembra offrire una frequenza così alta di nuove notizie, anche solo come variazione di prezzo giornaliera. Successivamente, lo sviluppo di Internet e del World Wide Web coincise con lo sviluppo del pensiero di “nuova era”. Grazie ad Internet le persone erano in grado di informarsi in maniera più autonoma: l’investitore, che con l’avvento della televisione era stato trasformato in un ricettore passivo, ritorna ad essere un ricettore attivo. Il boom del mercato azionario è legato a quelle che sono le impressioni del pubblico, che con la rivoluzione di Internet si formano in maniera estremamente veloce. Le impressioni, o il sentimento del mercato, saranno i fattori acceleranti posti alla base di quella che è la teoria della “Retroazione delle Bolle” (feedback loop theory). Un fattore accelerante può essere definito come quel fattore che possono alterare la variazione del prezzo amplificandone l’entità. Secondo la teoria della curva di retroazione, i fattori acceleranti influenzano il primo aumento dei prezzi, provocando una vera e propria “spirale dei prezzi”: l’aspettativa degli operatori è quella di un prezzo sempre maggiore, rispetto al precedente. In questo feedback loop la domanda di titoli si è notevolmente incrementata, in quanti gli aumenti dei prezzi spingono anche i meno esperti a “scommettere” sulle Borse. L’impatto iniziale di un fattore accelerante, come ad esempio l’esposizione alle notizie, viene a manifestarsi con una variazione più ampia di quanto non fosse indicato dal fattore stesso. È necessario precisare che una curva di retroazione potrebbe manifestarsi sia in un movimento al rialzo, sia in un movimento al ribasso del prezzo. “Nella versione più popolare della retroazione, che si basa sulle aspettative adattive, la retroazione ha luogo perché i passati aumenti dei prezzi generano aspettative di ulteriori aumenti.” (Shiller, 2000). In un’altra versione, la retroazione ha luogo poiché la fiducia dell’investitore aumenta in risposta ai precedenti aumenti dei corsi azionari. (Barberis, Shleifer, Vishny, 1998) La teoria della retroazione può essere causata dall’effetto di “giocare con i soldi del banco”: in questo caso, si ridurrebbe notevolmente la tendenza a vendere dopo un aumento del prezzo, andando ad amplificare il fattore accelerante (meccanismi amplificatori). All’aumentare dei costi, l’Irrational Exuberance viene sempre di più alimentata dallo stesso livello raggiunto dai prezzi.
L’introduzione di una variabile legata al sentiment del mercato permette di dare una spiegazione al mispricing tra valore intrinseco di un titolo e il suo relativo prezzo sul mercato. Un titolo potrebbe avere un prezzo, secondo il fair value derivante dall’analisi bilancio, decisamente differente rispetto al relativo valore di scambio sui mercati finanziari. La retroazione e il fattore accelerante, rappresentato dall’esposizione alle nuove notizie, può essere visti come dei fattori emotivi che determinano il mispricing stesso.
In conclusione, l’utilizzo di variabili emotive degli investitori cerca di trovare una spiegazione a quei fenomeni che in letteratura finanziaria non possono essere compresi dal solo utilizzo di variabili economiche classiche. L’avidità che spinge i titoli verso livelli elevati e, la paura tipica dei bear market rappresentano lo stato emotivo dei due opposti cicli del mercato azionario. Le impressioni create dai media durante il ciclo, o le “narrazioni popolari” sono dei veri e propri virus di pensiero che colpiscono il mondo degli affari e si diffondono per “contagio sociale”. Solo tramite un connubio tra la finanza classica e quella comportamentale sarà dunque possibile leggere nell’irrazionalità.
A cura di Antonio Russo
BIBLIOGRAFIA:
Shiller, R. J. (1992). Market volatility. MIT press
Shiller, R. J. (2015). Irrational exuberance. Princeton university press.