Vi è ancora incertezza sull’offerta e sulla sua eventuale data da parte di Intesa Sanpaolo (prima banca in Italia per capitalizzazione) per Assicurazioni Generali (prima società assicurativa italiana per capitalizzazione), infatti da pochi giorni la banca ha dichiarato ufficialmente, tramite il presidente del suo consiglio di amministrazione Gian Maria Gros-Pietro, il suo “interesse industriale” verso l’assicurazione triestina.
Tuttavia l’operazione è ancora circondata da un alone di incertezza, che ha portato i titoli delle coinvolte a rialzi e cadute nelle ultime settimane, anche a causa delle resistenze di Generali e Mediobanca all’operazione.
L’accordo tra di due potrebbe portare alla creazione di un colosso con un valore combinato di mercato di circa 60 miliardi di euro.
Generali controlla circa 500 miliardi di euro di assets ed è considerata un soggetto economico molto importante in Italia non solo in quanto grande impresa del settore ma anche in quanto acquirente rilevante del debito nazionale. Generali si è presentata finora abbastanza diffidente sull’accordo, tanto da portarla ad acquistare il 23 gennaio una quota di poco superiore al 3% del capitale di Intesa Sanpaolo, acquistata attraverso un’operazione di prestito titoli, sembrerebbe proprio come strategia difensiva per evitare una scalato ostile da parte della stessa, sfruttando la legge sulle partecipazioni incrociate tra società quotate ( art. 121 tuf).
Secondo l’attuale disciplina è previsto che vengano fissati dei limiti quantitativi (cioè riferiti alla percentuale massima di azioni acquistabili) agli incroci azionari tra società quotate italiane. Infatti se una società quotata acquista più del 3% del capitale con diritto di voto di un’altra quotata, la seconda non potrà a sua volta acquistare più del 3% del capitale con diritto di voto della prima. Tali limiti sarebbero aggirabili solamente attraverso il lancio di un’offerta pubblica d’acquisto diretta a conseguire almeno il 60% delle azioni ordinarie (art. 121, quinto comma del tuf).
Il mancato rispetto di tali limiti comporta che, nel momento in cui la partecipazione incrociata eccede da entrambi i lati il limite massimo consentito, la società che ha superato il limite successivamente non può esercitare il diritto di voto per le azioni possedute in eccedenza e deve alienare entro dodici mesi l’eccedenza dalla data in cui ha superato il limite, altrimenti verrà sospeso il diritto di voto per l’intera partecipazione posseduta.
Il 17 febbraio Generali ha acquistato circa 1,1 miliardi di euro di azioni di Intesa San Paolo, pari al 3,04 % del capitale e ha avviato la procedura per terminare il prestito titolo.
Vi sono diverse speculazioni che vedrebbero Generali anche sotto la mira di concorrenti esteri come la francese Axa, la tedesca Allianz e la svizzera Zurich.
Bisogna ricordare anche che Zurich potrebbe avere un accesso facilitato nei rapporti con Generali dato dal fatto che il suo attuale CEO è Mario Greco, che era fino a
febbraio 2016 amministratore delegato di Generali e fortemente appoggiato dal Gruppo Caltagirone e dal Gruppo Leonardo Del Vecchio, rispettivamente secondo e terzo azionista della società triestina.
Ciononostante la svizzera sembrerebbe in realtà la meno interessata delle concorrenti estere alle operazioni di Generali.
Quelle che invece potrebbero avere un interesse concreto a provare ad aggredire Generali potrebbero essere Axa ed Allianz. Inoltre si deve considerare anche che Philippe Donnet, attuale CEO del gruppo Generali, ha ricoperto per molti anni varie posizioni all’interno del gruppo francese, tra cui quella di amministratore delegato di Axa Italia.
Per quanto riguarda l’azionariato di Generali i maggiori azionisti risultano essere Mediobanca (13,04%), Gruppo Caltagirone (3,56%), e Delfin S.AR.L (Gruppo Leonardo Del Vecchio, 3,16%). Inoltre Mediobanca fu l’advisor di Generali per la predisposizione di quell’operazione di prestito tioli che ha portato il Leone nel 3% del capitale d’Intesa.
Questa combinazione tra Intesa e Generali potrebbe riprendere quel modello di business conosciuto come bancassurance.
Questo modello consiste in un accordo in base al quale una banca ed un’impresa assicurativa formano una partnership cosicché l’impresa assicurativa possa vendere i suoi prodotti ai clienti della banca. Questo accordo può essere proficuo per entrambi i soggetti coinvolti. Infatti le banche
possono ottenere ricavi ulteriori vendendo prodotti assicurativi, mentre le imprese assicurative possono espandere la loro clientela, attraverso questo nuovo canale di distribuzione, senza dover espandere la loro forza vendita o affidarsi a soggetti esterni.
Numerose banche nella metà degli anni ’90 si interessarono al modello bancassurance, ma venne abbandonato da molti con la crisi del 2008 perché considerato poco efficiente di fronte a grandi turbolenze del mercato.
Oggi rimangono pochi gruppi che continuano a portare avanti l’uso di questa struttura di business, per esempio BNP Paribas e Crédit Agricole.
L’operazione tra il Leone e la Ca’ de Sass potrebbe godere di quella parte delle regole di Basilea III nota come “Danish compromise” che prevede un alleviamento sull’assorbimento del patrimonio per le banche che possiedono imprese assicurative, evitando così il doppio computo del capitale di vigilanza. La regola prevede la deduzione delle partecipazioni in altri intermediari bancari e finanziari, volta ed evitare che il medesimo apporto di capitale venga computato sia nel patrimonio di vigilanza dell’intermediario investitore che in quello del soggetto oggetto dell’investimento (c.d. double gearing), così determinando una duplicazione dell’effetto leva sulle attività di rischio dagli stessi assumibili.
Le regole di Basilea III hanno introdotto la possibilità di una parziale deroga a tale divieto a favore dei c.d. conglomerati
finanziari, sotto particolari condizioni e purché vi sia l’autorizzazione da parte del Meccanismo di vigilanza unico. Proprio questa deroga potrebbe essere sfruttata da Intesa San Paolo. Vari conglomerati già lo usano, tra cui Santander, Crédit Agricole, Bnp Paribas e Kbc.
Generali, intanto, punterebbe, probabilmente come ulteriore azione difensiva, sull’efficientamento aziendale. Infatti, secondo quanto riportato da varie testate, i vertici dell’assicurazione avrebbero in studio un’accelerazione dell’esecuzione del piano industriale che prevede un taglio dei costi di 200 milioni di euro dal 2019, nonché un incremento quantitativo dell’operazione di taglio dei costi.
Questa esperienza in ambito assicurativo non sarebbe la prima per Intesa San Paolo, infatti questa già opera nel settore delle assicurazioni tramite le controllate Intesa San Paolo Vita S.p.A. ed Intesa San Paolo Assicura S.p.A.
La banca produce circa 700 milioni di euro di utile netto dall’attività assicurativa, l’80% percento dei quali provengono dai prodotti distribuiti tramite le sue filiali. Intesa, grazie all’operazione con Generali, sarebbe in grado di vendere una nuova serie di prodotti assicurativi tramite le sue filiali.
Inoltre la Ca’ de Sass potrebbe riuscire anche ad ottenere un significativo taglio dei costi dalla combinazione dei due, in particolare attraverso la fusione delle attività di asset management.
Intesa Eurizon Capital e Generali Investments congiuntamente controllano più di 700 miliardi di euro di assets. Una possibile operazione di riassetto organizzativo sarebbe quella di combinare talune attività da queste svolte, in particolare le attività di back office.
L’idea che sta dietro a questa operazione potrebbe essere anche quella che le stabili entrate provenienti dai fee income dell’attività assicurativa possano essere complementari ai più volatili profitti provenienti dalla tradizionale attività bancaria, che soffre per i bassi tassi d’interesse.
Logica che in sostanza è la stessa che guidò la precedente ondata delle bancassurance negli anni ’90.