Politicamente in questi giorni sono stati festeggiati i 60 anni del sogno europeo, quello nato dopo la seconda guerra mondiale con l’obiettivo di creare un’entità sovranazionale che potesse dar voce agli ormai ridimensionati paesi e interessi nazionali e al contempo competere economicamente ed anche da un punto di vista politico-militare con le emergenti superpotenze americana e sovietica.
Infatti, il Trattato di Roma del 1957 aveva permesso ai sei paesi fondatori di porre le basi per l’Europa unita, che tuttavia ancora oggi stenta ad emergere e a prendere una vera posizione comune nello scacchiere internazionale, rimanendo di fatto ancora subordinata alle scelte degli Stati Uniti. Al contempo, in un’altra parte della società ed in particolare di quella legata alla finanza ed anche a tutti coloro che direttamente o indirettamente ne sono stati coinvolti, riaffiorano con timore i brutti ricordi della crisi internazionale che oramai dieci anni fa mise a dura prova la crescita globale, mentre i paesi di tutti il mondo iniziavano a scontrarsi con nuove problematiche di carattere planetario.
Crisi finanziaria che trova le proprie radici nei decenni precedenti al 2007, in un contesto finanziario deregolamentato, caratterizzato, dall’ingegneria del credito che ha portato alla creazione di nuovi strumenti finanziari, dai progressi informatici, dall’aumento della frequenza delle operazioni borsistiche ma anche e soprattutto dalla crescita della liquidità, favorita dalle politiche accomodanti delle banche centrali, FED in primis, per alimentare i consumi. L’espansione e grande disponibilità di liquidità inoltre si è avuta anche per la diffusione di fondi sovrani, private equity e hedge funds attraverso l’impiego delle riserve accumulate dai paesi esportatori di petrolio e da alcuni paesi asiatici (oltre a Cina anche India e i paesi arabi appartenenti all’OPEC) grazie ai surplus commerciali che hanno determinato la creazione di forti indotti di liquidità finanziaria utilizzati a scopo speculativo.
Ciò che più fra tutto ha reso ancor meno visibile la latente bolla immobiliare è stato l’impiego dei famosi mutui subprime e la successiva cartolarizzazione degli stessi che regalavano a tutti i debitori, anche senza i necessari requisiti, l’accesso al sogno americano, garantiti dall’incessabile crescita del prezzo degli immobili. Quando però nel biennio 2005-2007 la FED attuò un processo di normalizzazione (lift-off) dal 1,5% al 5,25%, con l’obiettivo di frenare l’espansione del ciclo monetario e drenare la liquidità presente nel sistema, l’effetto fu quello di un incremento esponenziale dei default dei contraenti sub-prime e quindi l’innesco di un circolo vizioso che portò nell’anno successivo al fallimento di giganti del sistema finanziario come Lehman Brothers. La crisi finanziaria si riversò incessabilmente nell’economia reale, comportando una crisi di fiducia. Gli effetti come ormai risaputo furono devastanti.
La produzione industriale si arrestò bruscamente a partire dall’autunno del 2008 quando la crisi creditizia si rese ancor più chiara. Anche le economie emergenti risentirono il contraccolpo seppur in maniera più contenuta. La Cina in particolare vide il tasso di crescita del PIL su base annua contrarsi dal precedente 13% al 9%. L’India chiuse l’anno con il 7,3% rispetto all’oltre 9% del 2007. Il Pil degli Stati Uniti, nel quarto trimestre, si contrasse del 6,3%, mentre la produzione industriale si ridusse del 2,2%, la disoccupazione passò dal 4,9 al 7,2. Anche il PIL del Giappone, sebbene la sua economia fosse meno esposta rispetto alle turbolenze del settore finanziario, si ridusse del 3,2%. Le economie dell’eurozona si contrassero complessivamente dello 0,2% nel secondo trimestre, mentre nel quarto persero l’1,6%. La produzione industriale invece registrò nello stesso periodo del 2008 una riduzione di circa il 3%.
Nel 2009 l’economia mondiale risentì pienamente degli effetti della crisi finanziaria “made in USA” con una flessione dell’economia reale in tutti i principali paesi. La crisi generalizzata determinò un aumento vertiginoso della disoccupazione che ridimensionò la capacità di spesa delle famiglie, indebolendo così la domanda aggregata. Nell’aprile 2009, in Europa, il tasso di disoccupazione giovanile subendo fortemente le conseguenze della fase recessiva, si attestò a circa il 19%.
Da tutto ciò si possono desumere degli importanti insegnamenti sul come prevenire e affrontare le crisi che purtroppo ci vedremo costretti ad affrontare negli anni a venire. In primo luogo, la totale assenza di regolamentazione non può portare alcun beneficio, pensando alla tesi secondo cui il mercato debba essere lasciato libero di produrre i propri effetti poiché nel lungo termine riporterà inevitabilmente all’equilibrio. È forse questa la ragione più grave che ha permesso alla crisi non solo di prodursi ma altresì di diffondersi in tutti i paesi sviluppati.
Il secondo insegnamento che avremmo dovuto apprendere è quello di non sottovalutare eccessivamente determinati fenomeni che potrebbero poi rivelarsi come il primo di un evento più grande e devastante. Infatti, molti analisti finanziari pensarono che, come precedentemente si era superata la speculazione delle azioni dotcom, si sarebbe superato altresì il 2007 senza alcuna eccessiva complicazione.
Va riconosciuto però che comprendere e valutare per tempo un evento così grande risulta oggettivamente complesso poiché molte variabili non sono conosciute o conoscibili in maniera esaustiva. Ciò che tuttavia va sottolineato è la reattività con cui occorre agire per riportare il mercato e l’economia verso la giusta rotta senza aspettare inutili vicende politico-burocratiche. Infatti, ciò che la crisi più fra tutto ha messo in luce è il differente dinamismo di risposta tra gli USA e l’Unione Europea. Quest’ultima infatti ha peccato di una visione ed un agire comune, che negli anni a venire dovrà necessariamente trovare per dar risposte concrete ai propri popoli e affrontare le nuove sfide che il mondo sta ponendo ai governi di tutti i paesi.
Di Gianluca Fioravanti