Un fenomeno relativamente recente nell’ambito degli investimenti in start-up innovative è stato evidenziato dagli studi del Quinto Osservatorio sull’Open Innovation e il Corporate Venture Capital Italiano, presentato allo SMAU (Salone Macchine e Attrezzature per l’Ufficio). Lo studio è stato promosso da Assolombarda, InnovUp, Smau e la Camera di Commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi, in partnership con InfoCamere e gli Osservatori del Politecnico di Milano, supportati da Confindustria e Piccola Industria Confindustria. La ricerca evidenzia che il numero delle quote di azionisti corporate dal 2018 al 2020 che hanno investito in start-up innovative sono cresciute dell’83,7%, passando da 7,653 a 14,055 unità. Dall’introduzione dello Startup Act, il quadro normativo per le nuove imprese e tutte le piccole e medie imprese che operano nel campo dell’innovazione tecnologica, in Italia gli investimenti hanno raggiunto gli 1.7 miliardi di euro. Tali dati mostrano quanto le imprese italiane, di qualsiasi dimensione e categoria, credano nel valore aggiunto derivante dalla collaborazione con realtà innovative. Queste ultime hanno la forza e la dinamicità per poter pianificare e produrre in breve tempo soluzioni utili per far fronte ai rapidissimi cambiamenti negli scenari nazionali ed internazionali, economici e sociali. Tali investimenti rappresentano uno dei motori che potrebbe trainare l’economia italiana fuori da questa difficile situazione, situazione precedente alla crisi generata dalla recente pandemia, e successivamente spingerla in una fase di crescita e forte sviluppo. Tuttavia, strumenti legislativi adeguati ed un efficiente uso di fonti di supporto economico per il settore, quali ad esempio il Fondo nazionale per l’Innovazione ed il Fondo per il Tech Transfer, assieme ad una pianificazione mirata ed una strategia politica di stato regolatore e supervisore (non imprenditore) condivisa, sono elementi imprescindibili per il proseguimento di tale percorso.
Una grande distinzione che viene effettuata nel mondo delle operazioni straordinarie, strettamente legate alla logica delle strategie di investimento, riguarda le caratteristiche specifiche dei buyer. In queste operazioni di M&A gli acquirenti possono essere distinti in due macrocategorie: acquirenti finanziari ed acquirenti strategici. Tendenzialmente i primi sono fondi di investimento (Private Equity e Venture Capital), che presentano la medesima caratteristica di non essere diretti operatori del settore di riferimento. I secondi, invece, sono spesso società industriali operanti nel medesimo settore di riferimento, o in settori adiacenti/affini, intenzionate a diversificare orizzontalmente o verticalmente, a nuove opportunità di business, o alla ricerca di sinergie operative (di ricavi e di costo) tramite l’operazione. Nello specifico, i dati mostrano che le caratteristiche degli acquirenti nelle operazioni di M&A che riguardano aziende innovative, le variabili più importanti sono la creazione di valore derivante dall’operazione stessa ed il futuro sviluppo/crescita della società e delle tecnologie dei soggetti coinvolti. Nel caso di investitori come fondi di PE e VC, le scelte riguardanti la strategy di investimento (holding period ed exit strategy) determinano il risultato finale per il fondo.
Da quando nel 2015 il registro dedicato delle startup e PMI innovative è stato fondato, è sempre stato chiara l’importanza dei vari player: gli operatori corporate (EUR 1.77 mld), cioè imprese in generale, e persone fisiche/ditte individuali (EUR 1.28 mld), contribuiscono a oltre il doppio degli investimenti provenienti dagli investitori specializzati come fondi di Private Equity e Venture Capital (EUR 1.05 mld). Di fatti, 9,168 startup e PMI innovative hanno come soci solo family & friends, 3.923 sono partecipate da società mature, mentre solo 610 sono partecipate da investitori specializzati in innovazione. Alla data di osservazione, quindi considerando i bilanci depositati fino al 2019, il fatturato totale generato è di EUR 2.5 mld. Di questi, nonostante costituiscano solo il 29% del totale, circa EUR 1.46 mld (57% del totale) dei profitti sono generati da investimenti Corporate Venture Capital, i quali occupano inoltre il 43% degli addetti impiegati da tutte le startup e PMI innovative, mentre la restante parte è generata da investitori specializzati. Tali risultati sono generalmente frutto di una maggiore conoscenza del settore di riferimento. Il report evidenzia inoltre che gli indici economici delle società oggetto di investimenti da operatori corporate presentino performance migliori rispetto a quelle di investitori “Family&Friends” e investitori specializzati. Il report riporta stime di valore aggiunto medio per investitori corporate che si attestano intorno a 95 mila euro contro i 76 mila euro dei Family&Friends e i 16 mila euro di società partecipate da fondi di investimento. Allo stesso modo, anche per le PMI innovative valgono gli stessi trend, in quanto il valore aggiunto medio di EUR 2.35 mln è maggiore nel caso di investimenti corporate, rispetto a quelli operati da Family&Friends di EUR 2.25 mln, e Operatori specializzati di EUR 1.16 mln.
I dati di questa ricerca mostrano un risultato rilevante nei termini di M&A strategies, l’integrazione post merger e la creazione di valore nei portafogli nei fondi di Private Equity e Venture Capital sono un tema sempre più importante per gli investitori specializzati. Da un punto di vista operativo, i buyer strategici sono notevolmente più avvantaggiati sia sotto un aspetto “hard” (catena del valore, prezzi di vendita, gestione delle strutture amministrative), che da un punto di vista di caratteristiche “soft”, quindi ad esempio valori culturali, di ambiente ed etica del lavoro, ma anche di conoscenza del settore. Gli investitori specializzati scontano multipli di mercato medi di acquisto sempre più alti, ed è sempre più difficile poter programmare con largo anticipo delle exit strategies profittevoli, data la dinamicità dei settori e la competizione globale che le società in qualsiasi contesto affrontano. In più, nonostante la conoscenza dei settori in cui i fondi operano, anche se gli investimenti generano IRR compresi tra il 15% ed il 30%, le performance in termini di ricavi sono comunque relativamente peggiori rispetto a quelle dei buyer strategici, per lo meno nell’ambito delle start-up innovative. La motivazione potrebbe essere legata all’utilizzo che si fa di tali tecnologie. Incorporarle all’interno di un’azienda può avere un effetto moltiplicativo sui risultati del gruppo, abbattendo costi o incrementando i ricavi, migliorando la qualità dei prodotti o dei processi produttivi, e così via. Invece, è molto più complesso, soprattutto in un contesto come quello italiano, creare un business stand alone a partire da una tecnologia innovativa.
Per concludere, una ulteriore revisione delle strategie di integrazione, unite alla programmazione di strategie di uscita di pari passo all’evoluzione del business, potrebbe portare a ad un miglioramento delle prospettive di crescita e all’efficienza degli investitori specializzati.
A cura di Giuseppe Federico Sorrentino
Fonti:
- https://www.milanofinanza.it/news/start-up-pmi-raddoppiano-gli-investimenti-corporate-202010211427485340
- https://www.infocamere.it/openinnovation2020