Una delle nuove sfide con cui le imprese si devono confrontare è quella del diversity management, ovveroun processo di trasformazione aziendale con la finalità di valorizzare e utilizzare il contributo unico di ogni dipendente per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Tale tendenza punta ad esaltare le diversità all’interno di un ambiente di lavoro – quali culturali, etniche, di salute, motorie – sottolineando i punti di forza e le diverse esigenze senza qualsiasi forma di pregiudizio che possa degenerare in un comportamento discriminatorio. Infatti, l’importanza di questa tematica è dimostrata da molti studi secondo i quali la diversità del top management è in grado di influenzare positivamente le prestazioni e i risultati finanziari di un’azienda (Scott-Baumann A. et al, 2019)
Inoltre, il diversity management si riferisce a programmi e politiche specifiche che le organizzazioni hanno sviluppato e implementato per gestire efficacemente una forza lavoro eterogenea e per promuovere l’uguaglianza organizzativa.
Possiamo considerare questa materia come figlia della globalizzazione e delle diversità demografiche che aumentano il bisogno di cogliere la varietà nelle organizzazioni.
Ciò che risulta evidente è la mancanza di comprensione delle differenze tra le persone, soprattutto a livello culturale, che ha portato a un aumento delle denunce di discriminazione e a casi di contenzioso, con gravi danni reputazionali per le società interessate.
Tuttavia, nonostante si senta sempre più parlare di tale materia, sappiamo ancora poco su quali pratiche di gestione della diversità siano più efficaci e i relativi contesti organizzativi. Diversi studiosi hanno sottolineato come l’approccio alle differenze abbia subito una minima trasformazione rispetto al secolo precedente, rimanendo saldamente ancorate ad iniziative basate sull’identità, volti ad aumentare il numero di gruppi sociali storicamente emarginati nelle organizzazioni (Dennissen M. et al, 2018).
Il limite dell’approccio identitario è senza dubbio quello di non cogliere le diverse sfumature e la complessità delle singole realtà, sfociando in un’eccessiva semplificazione e appiattimento.
È necessario, dunque, un sistema dinamico che possa adattarsi ai singoli casi aziendali e alla realtà complessa in costante mutamento, permettendo di esaltare le differenze individuali senza intaccare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Secondo il report “Equality at work: Tackling the challenges” dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO)[1], nuove forme di discriminazione si sono aggiunte a quelle tradizionali basate su sesso, razza e religione.
In particolare, nel mondo industrializzato, si sono sviluppate nuove pratiche basate su trattamenti sfavorevoli nei confronti di soggetti con una predisposizione genetica a sviluppare malattie particolari, aumentando i rischi percepiti dal datore di lavoro. Inoltre, dato il rapido ritmo con cui queste pratiche si stanno diffondendo, è importante esserne consapevoli e monitorarle.
Il rapido sviluppo della genetica e delle relative tecnologie hanno reso più semplice ottenere informazioni sullo stato genetico, indicativo dello stato di salute attuale o futuro di una persona.
Lo screening genetico ha importanti implicazioni per il posto di lavoro, dal momento che gli employer possono utilizzarlo per escludere o licenziare i dipendenti per i quali sia stata riscontrata una predisposizione a sviluppare malattie in futuro, attuando quindi comportamenti discriminatori.
Tale problematica non può rimanere irrisolta in quanto il peso delle malattie croniche sta crescendo nell’ultimo secolo (Gabrielli, G. et al. 2020).
Questo ha portato diversi paesi ad adottare misure legali per prevenire ed arginare tale fenomeno. Diversi stati membri dell’UE come Danimarca, Finlandia e Svezia hanno introdotto una legislazione che vieta tale forma di discriminazione, mentre altri come Italia, Lussemburgo e Grecia hanno proibito o limitato la raccolta di dati genetici dei dipendenti senza il loro esplicito consenso.
Il Centro di Ricerca Ellepì della Fondazione Lavoroperlapersona ha approfondito una serie di implicazioni riferite alla condizione di collaboratori affetti da malattia cronica, mediante una survey in una multinazionale italiana con oltre 60000 dipendenti a cui hanno partecipato in 6462.
Dalla ricerca è emerso come la percezione di inclusione sia inferiore del 18% per i dipendenti affetti da patologie rispetto ai loro colleghi. Inoltre, tra i soggetti malati il 10% dichiara di aver subito una qualche forma di discriminazione sul posto di lavoro in merito alla propria patologia.
Spesso tale atteggiamento è legato al fatto che molti capi e colleghi sottovalutano le capacità del dipendente malato, non ritenendolo più idoneo a svolgere progetti o a gestire lo stress.
Tuttavia, il report di maggio 2020 ha portato a un risultato opposto, secondo cui l’inclusione porta a sviluppare un atteggiamento positivo verso l’organizzazione e riduce la percezione di stress sul lavoro.
Dal lato del dipendente affetto da malattia ciò che più conta sono il work-life balance, ovvero una serie di pratiche di flessibilità, certezza e stabilità del posto di lavoro che consentono una migliore gestione della sfera personale, permettendo di affrontare la malattia in maniera positiva e costruttiva.
Diverse ricerche hanno dimostrato come con degli interventi mirati sia possibile permettere il mantenimento della posizione lavorativa senza alcun calo di produttività. In particolare, la rimozione di ogni forma di barriera è fondamentale per favorire l’occupabilità delle persone affette da malattie croniche, abolendo i fattori principali di abbandono del posto di lavoro come, ad esempio, la percezione di riduzione della padronanza nelle competenze professionali e soddisfazione personale.
Altri elementi fondamentali risultano essere il supporto dei colleghi, del management e della funzione HR delle aziende. Esso assume forme diverse: emotivo, organizzativo e di riduzione del carico di lavoro. I capi rappresentano il punto di riferimento prioritario in grado di offrire supporto emotivo e organizzativo.I colleghi invece offrono sostegno psicologico e la funzione HR aiuta ad organizzare il lavoro.
Di conseguenza, il compito delle aziende è quello di favorire il più possibile l’employablity dei malati cronici creando ambienti inclusivi e in grado di valorizzare i dipendenti che vedono inevitabilmente cambiare la propria relazione con il lavoro.
Dall’altro lato sono necessarie iniziative di sensibilizzazione che spingano i collaboratori più deboli a condividere il proprio status, anche mediante la creazione di figure interne ad hoc.
È indispensabile garantire pari opportunità a tutti i collaboratori indipendentemente dalle loro condizioni, in quanto il lavoro stesso è una forma di sostegno che aiuta ad affrontare la malattia.
È questa la direzione verso cui Enel Italia si sta muovendo, avendo lanciato il progetto MaCro@work Caring Program fondata su una rete di “Gestori di Cuore” per garantire un punto di riferimento per i colleghi che affrontano una malattia cronica, con l’obiettivo di favorirne l’integrazione nell’ambiente lavorativo.
L’esperienza ha dunque dimostrato come un approccio creativo alle diversità spesso paghi, tuttavia è necessario rimuovere il fondamentale ostacolo di tradurre in azioni le policy aziendali così da poter dare un contributo concreto ai soggetti più in difficoltà.
A cura di Daniele Capozza
Note
[1] Agenzia specializzata delle Nazioni Unite, fondata nel 1919, che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani internazionalmente riconosciuti, con particolare riferimento a quelli riguardanti il lavoro in tutti i suoi aspetti.
Bibliografia
Dennissen, M., Benschop, Y. and van den Brink, M., 2018. Rethinking Diversity Management: An Intersectional Analysis of Diversity Networks. Organization Studies, 41(2), pp.219-240.
Gabrielli G., Innocenti L., Profili S., Sammarra A. (2020), L’esperienza di lavoro dei collaboratori affetti da malattia cronica, Edizioni Lavoroperlapersona, Offida
ISBN 9791280083012
INTERNATIONAL LABOUR CONFERENCE, 2021. Equality at work: Tackling the challenges. Report I (B). [online] Geneva. Available at: <https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—dgreports/—dcomm/—webdev/documents/publication/wcms_082607.pdf> [Accessed 4 June 2021].
Scott-Baumann A., Gibbs P., Elwick A., Maguire K. (2019) What Do We Know About the Implementations of Equality, Diversity and Inclusion in the Workplace?. In: Özbilgin M., Bartels-Ellis F., Gibbs P. (eds) Global Diversity Management. Management for Professionals. Springer, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-030-19523-6_2
Wilson D. (2019) Promoting Cultural Awareness: A Means of Managing Global Diversity. In: Özbilgin M., Bartels-Ellis F., Gibbs P. (eds) Global Diversity Management. Management for Professionals. Springer, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-030-19523-6_14